domingo, 4 de julio de 2010

 

divagando canicolarmente

so che non mi legge più nessuno. scrivevo solo per me, dicevo-e così credevo. e col tempo invece ho scoperto che era dialogo e confronto che cercavo, anche in queste parole accampate, e male, a mo' di scusa o spiegazione, l'una sull'altra, come a rappresentarmi e a condividermi con chi è distante.
nessuna pretesa di filosofia, poca di introspezione.
scrivevo e mi sentivo libera di scrivere, uno spazio mio.
poi mi son sentita osservata, spiata da qui, da voci che non si segnalano, ma diventano reali...e mi ci sono distaccata, stando attenta a quanto di me mettevo in gioco qui. e ho smesso di divertirmi, a scrivere. ho praticamente smesso, di scrivere.
poco fa leggo parole di altri, probabilmente spio, anch'io, ma senza cattiveria. curiosità di capire.
e mi ritrovo di fronte a una valanga si sentimenti, ben scritti, ma boh. mi lascia perplessa questo mettersi a nudo, questo scoprirsi. penso che ci son momenti in cui ne si sente il bisogno, e non si riesce a farlo in altro modo.
viscerale necessità di condivisione. la capisco, questa. ce l'ho avuta anch'io. e l'apertura totale è spesso data dalla voglia che il messaggio arrivi ad un'apertura specifica, individuale, personale. scrivi a tutti perchè Uno ti legga. io scrivevo per marta e per lorena, e per chiunque fosse curioso, tra i pochi che sapevano del mio blog, di sapere cosa pensavo, come vivevo, cosa mi faceva triste o felice.
la vita vissuta continua e cambia così tanto, che perdo il filo della scrittura: quel che voglio scrivere passa dall'essere attuale, e va bene così, in fondo.
potrei parlare di quanto sia caldo, oppure di quanto sia splendida mia mamma, o delle vicende del b&b domestico. ma non mi viene. preferisco leggere e vivere, e assaporare la mia vita. e osservare quelle degli altri, e stimarli per quanto riescano a raccontarsi, e lasciarsi cullare dalle loro storie, presenti passate e future immaginate, come le imprese epiche e cavalleresche per i bambini di un tempo..
che ogni frammento di vita possa essere un racconto
che stupisce e incanta
e io, golosa, aspetto, ameba sociale, pendendo dalle labbra degli altri!
(e che questa sia verità o finzione? ai non-lettori l'ardua sentenza!)

Comments:
che scrivere qui pretende spettatori, questa è una piazza e alla fine ci si aspetta che si riempia. Contraddittorio, sì, l'ho pensato anch'io. La nostra riservatezza sbobinata su un blog.
Ciao Mery
Fulvia
 
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AlLeVi

L'abbandono

Basta ricordare che siamo fatti di acqua calda, che siamo soffici, liquidi ed elastici. L’abbandono è uno stato difficile a cui non siamo più abituati, perché siamo ossessionati dal controllo a tutti costi dei particolari. L’abbandono invece è partecipazione alla pienezza, una forma di consapevolezza. Come dire: è così chiassosa la storia, nell’infinito silenzio universale, che è inutile aggiungere altro rumore. Dunque è un prendere atto di esistere, di possedere braccia, dita e talento non nostri, di essere in possesso di un’identità che ci è data, così come tutto in noi e attorno a noi ci è donato, ci avanza, trabocca le nostre aspettative: nulla ci appartiene. Allora ecco risvegliarsi in noi l’infantile stupore per ogni cosa, sempre nuova, sempre provvisoria. L’abbandono è una costante primavera, dove tutto continuamente nasce. Inizia dal respiro profondo, lento e sentito come la cosa momentaneamente più importante, come un movimento ampio e complesso, non più involontario, cui segue la perdita dell’espressione facciale, o meglio l’importanza che essa riveste per noi, e questo è davvero difficile: smettere di sentirci immagine esposta al giudizio degli altri, per tornare al valore della nostra unicità. ….
E’ vero, con l’abbandono si sperimenta un piccolo miracolo … il prodigio di lasciar vivere i fiori che ci circondano, di sentire di non aver più paura di nessuno, perché anche la nostra presenza è dono; il miracolo di essere vivi e leggeri.
"...Gli uomini sono soggetti alla Legge delle Tre Lancette. Coloro a cui manca la lancetta dei secondi non sanno mai godere un singolo attimo: essi pensano esclusivamente a ciò che è stato prima e a ciò che verrà dopo, non accorgendosi delle piccole gioie che li circondano. Ad alcuni manca invece la lancetta dei minuti: sono coloro che corrono all'impazzata, gareggiando contro gli attimi; gli stessi che poi di colpo si fermano, delusi di non aver trovato nulla, e lasciano che le ore scorrano una più inutile dell'altra. Ad un terzo gruppo manca invece la lancetta delle ore: essi vivono, si agitano, pianificando appuntamenti e progetti, non sapendo se è notte o giorno, mattina o sera, se sono felici o disperati;guardando la loro vita vedono solo un rotolare di anni pesanti e inarrestabili. L'uomo giusto ha tutte le lancette, più la suoneria quando è ora di svegliarsi..." Stefano Benni, ELIANTO