miércoles, 22 de diciembre de 2010

 

critical mass

mattina, tarda mattina. accendo la radio mentre faccio colazione, e sento di un ciclista 25enne investito a porta san donato, rimasto ucciso.
corro a vedere sui giornali on-line. c'è la notizia sul Leggo, sul Carlino, sul sito delle mamme fan di Marco Carta. quando cerco "ciclista ucciso  bologna 21 dicembre 2010" in google mi escon mille pagine sull'allenatore dell'Italia '82 morto. condoglianze, ma perchè? non era quello che cercavo.
tramite segnalazione di un'amica scopro la notizia su Repubblica Bologna.
Incredibile la sproporzione dell'informazione. La morte di un ciclista fa meno rumore di un super mega allenatore che ci ha fatto vincere i mondiali. Io quell'allenatore mica l'ho conosciuto, ma col traffico di Bologna ci lotto ogni giorno.
Coi SUV che ti fanno prepotenza e ti stringono apposta, con le macchine che si lamentano che le bici sono pericolose,ti mandano accidenti e improperi dal finestrino perché osi contestare la loro prepotenza, oppure manco ti vedono, ignorano la tua presenza, non sanno che anche tu ciclista hai diritto alla circolazione per strada, e loro ti devono rispetto, spazio, segnalazioni ai loro spostamenti.
Tante volte si rischia la vita per manovre azzardate di autisti distratti, che magari nel mentre fanno altre mille cose, e non vedono te che pedali. Frecce dimenticate quando si svolta, specchietti che non si controllano. e tu non esisti. portiere che si aprono all'ultimo momento, senza guardare.
Per non parlare della giungla delle rotonde.
io ci pedalo ogni giorno su queste strade, e ho paura. Mi tocca pregare, sperare che l'autista faccia caso a me, che mi veda, che rallenti, che non sia distratto. che guardi e controlli mentre si muove. Che non parcheggi agli imbocchi delle piste ciclabili, che non parcheggi SULLE piste ciclabili, che mi lasci lo spazio per passare, che non mi stringa, che non mi suoni o sfanali sennò mi spavento, che non mi sposti superandomi veloce (e quando son camion, bisogna rimanere ben saldi), che non mi tagli la strada.
Non mi fa strano sentire che c'è chi muore in bicicletta, ne sento il rischio ogni giorno.
Ma questo non crea l'assioma ANDARE IN BICI E' PERICOLOSO. Andare in bici è un DIRITTO, e devo avere il diritto, non la speranza, di essere rispettato. La macchina è un'arma pericolosa, me ne rendo conto le poche volte che guido. Ma spesso con l'abitudine ci si dimentica, e si vedono solo gli effetti, e li si interpretano come cause.
Non importa fare km di piste ciclabili nel nulla, oppure impraticabili, per dimostrarsi una città attenta e rispettosa dei ciclisti. Non serve chiudere qualche volta all'anno il centro alle macchine per fare la passeggiatina con la propria bici fiammante, magari insieme alla famiglia, e poi richiuderla in cantina perchè, figurati, è pericoloso, e poi si suda, e insomma non si può mica fare durante l'anno.
Bisognerebbe invertire questa visione distorta, bisognerebbe guardare a quelle città dove andare in bici è assolutamente normale, che ci sia pioggia o sole, dove le strade non sono impraticabili e piene di buche, dove il ciclista è rispettato, ed è NATURALE che lo sia.
http://www.youtube.com/watch?v=Oq3gIVGFTk4&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=EOkqTDdtlc4&feature=player_embedded

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AlLeVi

L'abbandono

Basta ricordare che siamo fatti di acqua calda, che siamo soffici, liquidi ed elastici. L’abbandono è uno stato difficile a cui non siamo più abituati, perché siamo ossessionati dal controllo a tutti costi dei particolari. L’abbandono invece è partecipazione alla pienezza, una forma di consapevolezza. Come dire: è così chiassosa la storia, nell’infinito silenzio universale, che è inutile aggiungere altro rumore. Dunque è un prendere atto di esistere, di possedere braccia, dita e talento non nostri, di essere in possesso di un’identità che ci è data, così come tutto in noi e attorno a noi ci è donato, ci avanza, trabocca le nostre aspettative: nulla ci appartiene. Allora ecco risvegliarsi in noi l’infantile stupore per ogni cosa, sempre nuova, sempre provvisoria. L’abbandono è una costante primavera, dove tutto continuamente nasce. Inizia dal respiro profondo, lento e sentito come la cosa momentaneamente più importante, come un movimento ampio e complesso, non più involontario, cui segue la perdita dell’espressione facciale, o meglio l’importanza che essa riveste per noi, e questo è davvero difficile: smettere di sentirci immagine esposta al giudizio degli altri, per tornare al valore della nostra unicità. ….
E’ vero, con l’abbandono si sperimenta un piccolo miracolo … il prodigio di lasciar vivere i fiori che ci circondano, di sentire di non aver più paura di nessuno, perché anche la nostra presenza è dono; il miracolo di essere vivi e leggeri.
"...Gli uomini sono soggetti alla Legge delle Tre Lancette. Coloro a cui manca la lancetta dei secondi non sanno mai godere un singolo attimo: essi pensano esclusivamente a ciò che è stato prima e a ciò che verrà dopo, non accorgendosi delle piccole gioie che li circondano. Ad alcuni manca invece la lancetta dei minuti: sono coloro che corrono all'impazzata, gareggiando contro gli attimi; gli stessi che poi di colpo si fermano, delusi di non aver trovato nulla, e lasciano che le ore scorrano una più inutile dell'altra. Ad un terzo gruppo manca invece la lancetta delle ore: essi vivono, si agitano, pianificando appuntamenti e progetti, non sapendo se è notte o giorno, mattina o sera, se sono felici o disperati;guardando la loro vita vedono solo un rotolare di anni pesanti e inarrestabili. L'uomo giusto ha tutte le lancette, più la suoneria quando è ora di svegliarsi..." Stefano Benni, ELIANTO